ITTIG - Istituto di Teoria e Tecniche dell'Informazione Giuridica del CNR

L'informatica negli ordinamenti degli studi giuridici
Relazione al Convegno Informatizzazione delle professioni legali
(Perugia, 23 febbraio 2001)

Nicola Palazzolo

Ho accettato con piacere, ma anche con qualche riluttanza, l'invito pressante dell'amico Leo Mattioli ad intervenire a questo Convegno perché mi sembra un'occasione importante per riflettere, non tanto tra docenti o tra docenti e studenti, ma insieme ai rappresentanti delle categorie professionali su come si sta modificando, per effetto dell'applicazione delle tecnologie informatiche, il mondo delle professioni giuridiche, il modo stesso di far diritto, cioè di creare il diritto, di applicare il diritto, di interpretare il diritto.

Dicevo che l'ho fatto con riluttanza perché chi conosce le recenti vicende di questa facoltà giuridica sa che le mie posizioni sul problema dell'insegnamento dell'Informatica giuridica, ma più in generale sulla maniera in cui si sta attuando la riforma degli ordinamenti degli studi giuridici, sono posizioni che definire minoritarie è troppo benevolo, direi che sono assolutamente isolate. Da ciò l'amarezza di chi, pur sapendo che è giusta la strada indicata, di attuare cioè la riforma in funzione di ciò che oggi e ancor più domani dovrà essere il ruolo del giurista, si accorge però che non può esserci un dialogo con chi si muove su schemi vecchi e di mera conquista di spazi di potere maggiori.

Se quindi sono qui lo sono non tanto come docente di questa Facoltà, bensì come direttore dell'Istituto per la documentazione giuridica del consiglio Nazionale delle ricerche, che ha tra i suoi obiettivi di ricerca anche quello di costituire un osservatorio permanente non solo dell'applicazione delle tecnologie informatiche ai vari campi dell'attività giuridica, ma anche in ordine alle forme dell'insegnamento dell'informatica ai fini della formazione dei giuristi.

Dunque l'informatica. Nella tumultuosa - e per certi versi difficile da comprendere - vicenda legislativa che ha portato alla riforma degli ordinamenti didattici, il tema dell'informatica negli studi giuridici è tornato più volte, e sotto diversi profili. E più volte a me, appunto a nome dell'Istituto che dirigo, è toccato di intervenire in proposito.

Purtroppo però ho dovuto constatare che la difficoltà di intervenire sui punti specifici dipendeva quasi sempre da una mancata conoscenza, da parte di molti giuristi (o almeno di quelli che dovevano prendere le decisioni), dei termini reali del problema, cioè di che cosa fosse l'informatica per il giurista, e l'informatica giuridica in particolare. E' evidente infatti che porsi il problema di quale ruolo assegnare all'informatica giuridica richiede preliminarmente la definizione di uno statuto dell'insegnamento che in sede scientifica oggi è pienamente riconosciuto, ma che ancora stenta ad esserlo sul piano didattico. Per rendersene conto basta dare uno sguardo agli indici dei manuali che in gran numero sono usciti in questi ultimi anni sotto il titolo appunto di "Informatica giuridica" o espressioni equivalenti: si passa da nozioni di informatica di base, che si ritiene possano essere utili anche ai futuri giuristi, a studi di logica giuridica, di epistemologia giuridica, di teoria della conoscenza giuridica, che certamente troverebbero adeguata collocazione in un corso di Filosofia del diritto, a nozioni e strategie di Documentazione giuridica (essenzialmente i grandi sistemi informativi e le basi dati giuridiche) che certamente fanno parte a pieno titolo dell'Informatica giuridica, ma non esauriscono certo tutti gli ambiti dell'Informatica giuridica, anzi oggi probabilmente non ne sono neppure la parte prevalente.

Ecco perciò che la prima difficoltà sta proprio nella comprensione e nella delimitazione dell'oggetto dei nostri studi. E devo dire che le cause di questa mancata comprensione sono abbastanza facili da scoprire nella storia, abbastanza recente della disciplina, grosso modo attorno agli anni '60. Essa ha avuto origine, almeno in Italia, da due filoni del tutto indipendenti, che in realtà per molti anni non si sono mai incontrati, e che solo adesso sembrano giungere ad una qualche integrazione: da un lato il filone teorico, nato da una costola della filosofia del diritto (ricordo la prolusione catanese di Vittorio Frosini del 1963), dall'altro quello pratico, nato col CED della Corte di Cassazione negli stessi anni o poco dopo, e proseguito con una serie di applicazioni che hanno trovato la massima diffusione per tutti gli anni 80 e 90. L'Istituto per la documentazione giuridica del CNR si è trovato in mezzo tra questi due filoni, e per molti anni ha coltivato entrambi in maniera indipendente, a seconda delle vocazioni, teoriche o pratiche, dei singoli, fino ad approdare in anni più recenti ad un inizio di integrazione, nella quale alcune ricerche teoriche costituiscono il sostrato delle applicazioni pratiche e a loro volta trovano in queste il loro sbocco operativo. Il manuale di Informatica giuridica che, dopo lunga gestazione, finalmente l'IDG sta per portare alle stampe (sarà un grosso volume, o forse due volumi, di circa 700 pagine) dovrebbe costituire il punto di sintesi e mi auguro il manifesto programmatico della disciplina.

L'origine accademica della disciplina nell'ambito della Filosofia del diritto ha fatto sì che negli ordinamenti didattici italiani, a differenza di ciò che accade in tutti gli altri ordinamenti dell'Europa continentale ma anche di quelli anglosassoni, fino ad oggi l'Informatica giuridica sia stata incardinata all'interno di quel settore disciplinare, con la conseguente impossibilità, o almeno l'estrema difficoltà, di bandire un concorso per quella disciplina, non solo perché la commissione sarebbe stata sempre formata da filosofi del diritto, ma specialmente perché i titoli da valutare e le relative prove di esame avrebbero dovuto svolgersi su temi appartenenti all'intero settore disciplinare, e non si può certo pretendere una compiuta preparazione filosofica in chiunque ambisca ad occuparsi di Informatica giouridica. I molteplici tentativi, anche miei personali, presso il Consiglio Universitario Nazionale, in sede di ridefinizione dei settori scientifico-disciplinari, perché venisse istituito un settore autonomo per l'Informatica giuridica, non sono andati a buon fine nonostante da tutti si riconoscesse la ragionevolezza della proposta: le lobbies accademiche sono più forti di qualunque ragionevolezza. C'è da dire che nell'ultima versione elaborata dal CUN fortunatamente questa rigidità dovrebbe essere attenuata, ma più per ragioni estrinseche che per aver acceduto alla tesi dell'autonomia disciplinare: in effetti ormai i settori disciplinari sono definiti soltanto da una declaratoria che definisce gli obiettivi e i metodi delle disciplinre afferenti al settore, e non vi è più un elenco rigido di discipline afferenti; cosicché non dovrebbe essere impossibile, anche se non è certo facile, individuare dei contenuti informatico-giuridici anche all'interno di un altro settore disciplinare. Certo però che un autonomo settore disciplinare avrebbe tolto di mezzo ogni dubbio in proposito. Ma la guerra non è ancora finita e potrebbe riservare sorprese.

Più complessa, ma anche più articolata nei suoi esiti, è l'altra battaglia che si è combattuta, prima a livello ministeriale e poi nelle Facoltà, attorno ai due decreti (c.d. "decreti d'area") che definiscono le classi delle lauree triennali (e rispettivamente delle lauree specialistiche biennali) nonché gli ambiti disciplinari a vario titolo obbligatori, i relativi settori disciplinari ed i crediti minimi da attribuire a ciascuno di essi.

Qui certamente la mancanza di un apposito settore disciplinare per le discipline informatico-giuridiche ha pesato in qualche modo, impedendo di dare visibilità ad un insegnamento che avrebbe dovuto essere valorizzato quale disciplina autonoma e non quale parte dell'insegnamento di Filosofia del diritto; non tanto però quanto ha pesato il fatto che, giustamente, anche per le lauree nelle discipline giuridiche (così come del resto per tutte le altre classi di laurea) i decreti hanno previsto che un certo numero di crediti dovesse essere riservato dalle Facoltà ad un minimo di conoscenze informatiche di base (chiamate addirittura, quasi a volerle declassare rispetto alle altre discipline, con l'espressione "abilità informatiche"), in pratica alla capacità di usare il computer per fini personali, di studio o di ricerca. Niente a che fare insomma con i contenuti di un insegnamento universitario, che per definirsi tale si fonda su una seria definizione teorica e su un impianto di concetti e metodi. E' successo però che le Facoltà giuridiche, un po' per superare l'ostacolo del settore disciplinare, un po' di più per conservare tutti i crediti a disposizione della Facoltà agli ambiti c. d. "professionali" (in pratica quelli del diritto positivo), hanno utilizzato per l'informatica giuridica quei crediti che dovevano essere destinati all'informatica di base: cosa assolutamente legittima, certo, ma che finisce ancora una volta per svuotare l'informatica giuridica dei suoi contenuti specifici; ciò anche considerato il fatto che la formazione professionale dei docenti è del tutto diversa nei due casi: non si è riflettuto abbastanza sul fatto che per insegnare l'informatica giuridica occorre essere un giurista, avere la sensibilità di un giurista, di colui cioè che ha ben presenti i problemi della creazione, dell'applicazione, dell'interpretazione del diritto e partendo da questi cerca una soluzione tecnica, o tecnologica.

Ma c'è di più: anche ponendosi in un'ottica strettamente professionale, non si riesce a capire cosa ci sia di più professionale di un insegnamento che, ormai, è materia di esame nei concorsi per uditore giudiziario e per notaio, e che, anche al di là di questo, costituisce strumento indispensabile per la professione. Quella che si sta attuando in questi anni (ed a cui anche il nostro Istituto sta dando un contributo rilevante) è una rivoluzione di fondo del modo tradizionale di operare del giudice, dell'avvocato, oltre che del notaio e del pubblico amministratore. Una rivoluzione che non attiene più solo, come eravamo abituati a pensare, alla maggiore facilità di raggiungere l'informazione giuridica, ma alla produzione degli atti giuridici (leggi, sentenze, contratti, atti amministrativi) in pratica al modo stesso di fare diritto, di essere giurista.

Ecco perché sarebbe stato necessario non solo un insegnamento autonomo, ma che questo fosse collocato non ai primi anni, dove sarebbe utile ma solo ai fini dell'informazione sul diritto, ma proprio nel biennio specialistico di Giurisprudenza, laddove si dà (o si dovrebbe dare) una preparazione specifica per i professionisti del diritto: magistrati, avvocati, notai, dirigenti delle amministrazioni pubbliche.

Questa del biennio specialistico-professionale di Giurisprudenza è comunque una vicenda che, anche al di là del caso specifico dell'Informatica giuridica (che pure è emblematico) va raccontata perché investe la concezione stessa dell'essere giurista, del ruolo del giurista in questa società. Qui si scontrano due diverse concezioni: una a mio avviso più vecchia, la quale vorrebbe che il bravo giurista sia colui che conosce perfettamente le norme fino all'ultimo dettaglio, che ricorda tutte le ultime decisioni giurisprudenziali, e che quindi non ha il tempo o non sente il bisogno di occuparsi di problemi metodologici, di chiavi di lettura interpretative, di strumenti collaterali, una concezione ottocentesca di stampo positivista, che dovrebbe aver fatto il suo tempo, ma che invece è ancora presente e forte (ricordiamo quanto è accaduto con la formulazione dei quesiti della prova di preselezione informatica nei concorsi per uditore giudiziario), ma paradossalmente è più presente negli ambienti accademici rispetto a quanto non lo sia nelle corporazioni professionali; ed una concezione più moderna, anche se invece è antichissima, perché risale ai giuristi romani, che vede come funzione tipica del giurista, non la conoscenza quanto l'interpretazione del diritto, e quindi il possesso di una serie raffinata di strumenti interpretativi utili alla professione.

Voglio solo testimoniare un semplice episodio, che mi ha dato da pensare: come Istituto per la Documentazione Giuridica abbiamo avuto ed abbiamo in questi anni varie occasioni di collaborazione con il Consiglio superiore della Magistratura, con il Consiglio Nazionale del Notariato e col Consiglio Nazionale forense, e tutti hanno manifestato l'enorme importanza dell'Informatica giuridica per le professioni forensi ed il rammarico perché questa venga così poco insegnata nelle Università italiane. Proprio un autorevole esponente del Consiglio Nazionale Forense, nel chiedere la disponibilità del mio Istituto a collaborare ad una serie di corsi che il Consiglio organizza per i giovani avvocati, mi diceva tutto il suo stupore per il fatto che l'Università non forma dei giuristi, ma solo - nella migliore delle ipotesi - dei conoscitori di norme e di sentenze, senza che venga loro insegnata l'arte del collegare insieme queste norme e sentenze, di argomentare al fine di convincere il giudice, usando una forma linguistica appropriata oltre che corretta grammaticalmente. E mi diceva che per questo il Consiglio Nazionale forense aveva messo in cantiere un programma di corsi che si basano non su ulteriori nozioni giuridiche, ma piuttosto sulla linguistica giuridica, sulla logica giuridica, sulla retorica giuridica, sulla psicologia giuridica, sull'informatica giuridica, in altre parole su quelle discipline che fanno il giurista, perché fanno la differenza tra un giurista e un accumulatore di norme e sentenze.

Dicevo che questo episodio mi ha fatto ripensare a tutta la vicenda dei nuovi ordinamenti didattici delle Facoltà giuridiche e a che tipo di giurista noi vogliamo formare: vogliamo un giurista che accumuli quante più nozioni è possibile , che insegua l'ultima leggina tributaria che come le altre vivrà due o tre mesi al massimo e poi verrà anch'essa abrogata, o vogliamo una persona che sappia ragionare, che sia in grado di trovare un filo interpretativo che colleghi i vari segmenti dell'ordinamento entro un quadro coerente o - quando occorra - sappia anche denunciarne le incoerenze, utilizzando tutto quel bagaglio di cultura storica, filosofica, comparatistica, che purtroppo è stato per troppo tempo ritenuto un inutile orpello erudito e niente più?

L'informatica giuridica allora è anche questo: restituire al giurista il proprio ruolo e la propria dignità, scaricarlo da tutte quelle funzioni che la macchina può svolgere bene, e anche meglio, per liberare la sua capacità interpretativa e argomentativa che tuttora viene mortificata dalla congerie di norme, regolamenti, sentenze, ordinanze, ecc. che è costretto a conoscere e perciò a ricercare con enorme dispendio di energie, dalle formule e dati ripetitivi che è costretto a scrivere negli atti giuridici, dai calcoli sull'entità del danno e sull'entità delle pene, in sostanza da tutto ciò che non qualifica il giurista come tale.

Concludo con una nota personale. Come molti sanno, io sono un professore di diritto romano prestato all'informatica giuridica, ma forse è meglio dire un professore di informatica giuridica pervenuto a questa scelta attraverso un percorso forse lungo, che molti reputeranno tortuoso se non addirittura contraddittorio, qualcuno pensa addirittura motivato dalla stanchezza verso una materia, il diritto romano, che non riesce più a dare stimoli didattici innovativi. Non è vero niente di tutto ciò. Forse dopo quello che ho detto questa scelta potrà apparire molto meno incoerente di quanto a prima vista si possa pensare. In fondo si tratta delle due facce della stessa medaglia. Se vogliamo restituire al giurista il suo vero ruolo, l'interpretatio iuris, occorre da un lato liberarlo dall'ansia di conoscere tutto, insegnandogli ad ottenere dalla macchina quello che la memoria umana non riesce a contenere e non è giusto che contenga; dall'altro bisognerà insegnargli un metodo nell'analisi critica delle fonti normative, una capacità argomentativa ed espositiva che, certo in modo non esclusivo, ma certamente in modo eminente, i giuristi romani ci hanno tramandato. E' per questo che ritengo miope e suicida il disegno di quelle Facoltà - poche fortunatamente, ma Perugia purtroppo è tra queste - che hanno pensato di costruire il biennio professionalizzante di Giurisprudenza come un ennesimo contenitore di nozioni eterogenee, che abbracciano tutti i campi del diritto positivo, come lo è già il triennio di base, senza dare adeguato spazio né all'Informatica giuridica né - e questo è ancora più grave - a quegli insegnamenti per definizione formativi perché destinati non a trasmettere nozioni ma soltanto un metodo interpretativo.

Io non so se dietro questo proposito c'è o meno un'ideologia: se c'è, è certo un'ideologia reazionaria, che tende a fare dei giuristi non degli uomini liberi, ma degli schiavi dei poteri forti, quali essi siano. Sono sicuro però che, sin quando avrò voce, io userò le mie parole in tutte le occasioni per contrastare questo disegno.